Il 5 aprile 2018, il Tribunale Civile di Roma ha accolto le richieste dei legali dei familiari del cittadino senegalese Cheikh Diouf, ucciso con un colpo di fucile da un poliziotto.
Il 31 gennaio del 2009, lo ricordiamo brevemente, Diouf, cittadino senegalese residente a Civitavecchia, veniva ucciso da un ispettore della polizia (il caso è presente anche nel nostro database online). I due erano vicini di casa. L’ispettore si era introdotto nel cortile dell’abitazione di Diouf armato di un fucile da caccia e, mentre la vittima gli si faceva incontro, aveva sparato due colpi in rapida successione ferendolo alla gamba e causandogli la recisione dell’arteria femorale e la successiva morte per dissanguamento. Diouf lasciava sei figli, all’epoca tutti minorenni, e due mogli.
Gli avvocati di Progetto Diritti, Luca Santini e Mario Angelelli, hanno ottenuto il riconoscimento di una responsabilità per omissione colposa (ex art. 2043 c.c., condotta omissiva alla causazione del delitto) del Ministero dell’Interno. Di fatto, il ministero ha ignorato i ripetuti segnali della pericolosità sociale del poliziotto, non dando luogo a “indagini approfondite e accurate e non procedendo, quanto meno, al ritiro delle armi in suo possesso”, concorrendo, di fatto, all’omicidio. Il giudice ha stabilito, a titolo di risarcimento per i familiari di Diouf, per danni materiali, morali ed esistenziali subiti in seguito alla morte del congiunto, una somma complessiva di 600mila euro. L’associazione Progetto Diritti, come si legge nel comunicato diffuso alla stampa, “nel rinnovare l’espressione del proprio cordoglio per questi tristi fatti, chiede al Ministero dell’interno di riconoscere formalmente e definitivamente la proprie responsabilità per l’accaduto e di eseguire sollecitamente la sentenza senza interporre appello. Da quasi dieci anni i familiari e i figli di Diouf attendono giustizia dal Senegal, e questa è l’occasione per un gesto di riparazione da troppo tempo atteso”.
Inizialmente, in primo grado, il poliziotto era stato condannato per omicidio volontario a 10 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Successivamente, in sede di appello, con la sentenza del giugno 2011, il reato veniva derubricato a omicidio preterintenzionale. Tuttavia, già nel corso del procedimento, era emerso il giudizio di seminfermità mentale dell’omicida dal momento che la perizia psichiatrica aveva riconosciuto l’imputato affetto da un grave disturbo di personalità. “Più volte, nel corso degli anni, il poliziotto era stato sospeso temporaneamente dal servizio in relazione a procedimenti penali in cui era coinvolto e a diversi episodi di rilievo psichiatrico, riconducibili a nevrosi ansiosa”, scrive sempre Progetto Diritti nel comunicato.
Quello che emerge dai vari gradi di giudizio che si sono succeduti in 10 anni di controversie, non è solo la responsabilità penale dell’imputato (se pur con una seminfermità mentale) ma, anche il mancato ritiro delle armi in possesso del poliziotto nonostante fossero emersi prima dell’omicidio numerosi segnali della sua pericolosità sociale.
L’associazione auspica che il Ministero dell’Interno non ricorra in appello e riconosca in modo definitivo le sue responsabilità.