Sulla prima pagina del quotidiano Libero (clicca qui per leggere l’articolo), venerdì 23 marzo, campeggia il titolo: “Accoglienza da pazzi. Un richiedente asilo su due è matto da legare e va curato”. A seguire, le pagine 2 e 3 con gli articoli: “Richiedenti asilo. Uno su due è matto e va curato”, “L’accoglienza è una roba da pazzi”, “Nei manicomi giudiziari il 17% dei detenuti è straniero” e un reportage dall’Azienda Sanitaria di Vicenza, che avrebbe proposto un questionario per conoscere quanti ospiti dei Centri di accoglienza avessero subito trattamenti sanitari obbligatori e soffrissero di disturbi legati al sesso, improvvisi atteggiamenti inconsulti, ecc.
Il pezzo centrale, dalla prima pagina, curato da Renato Farina lancia un nuovo allarme (e una nuova “facile” equazione): più aumentano gli sbarchi nel nostro paese, e più aumenterebbero gli immigrati con problemi mentali. Libero fa rilevare che il dato era già noto (rivendicando una denuncia già pubblicata l’autunno scorso), ma ora “arrivano le conferme da organizzazioni meritorie che cercano di tutelarne la salute, qual è di certo Medici senza frontiere”.
Immancabile l’affezionato riferimento a Kabobo e alle cosiddette “etnie” che sarebbero “naturalmente” a rischio di sviluppare problemi psichiatrici. E nel dire che “lanciare l’allarme non è razzismo”, ecco che invece il quotidiano presenta un quadro della situazione talmente distorto e sprezzante, da suscitare polemiche più che giustificate.
“Il fatto è che abbiamo trascinato qui da noi masse di poveri cristi, illusi di trovare il benessere, ed è tanto spaventosa la traversata del deserto e del mare, e il trauma di scoprire che non sono planati sul Paese del Bengodi, che il sollievo dell’approdo dura poco, mentre la ferita alla loro psiche non viene né riconosciuta né curata, e si farà purulenta nel corso dei mesi a far niente, a dover sopportare le angherie dei più forti del proprio branco, eccetera”. Questo inutile e fuorviante sarcasmo, snocciolando una serie di banalità, indispone il lettore attento.
Una risposta giunge prontamente dall’Associazione Carta di Roma, che attraverso la penna del Presidente Valerio Cataldi, afferma che condannare il titolo di Libero (e ovviamente anche il contenuto dell’articolo) significa difendere la dignità del giornalismo italiano.
“Di nuovo, ci troviamo di fronte all’utilizzo distorto di studi e di statistiche che ha il solo scopo di creare allarme e sollecitare paura. Lo avevano fatto appena una settimana fa con un titolo intollerabile che ci diceva che un femminicidio su 4 è opera di un “immigrato”, come se gli altri tre fossero meno preoccupanti perché fisiologicamente autoctoni, cose di casa nostra”, scrive Cataldi (clicca qui per leggere l’intero articolo).
Una seconda e altrettanto pertinente risposta viene da un medico psichiatra Luigi Benevelli, che dalle colonne di un sito sulla salute, scrive una lettera a Vittorio Feltri (clicca qui per leggere la lettera). Il medico giustamente sottolinea con acume: “È del tutto evidente che i migranti che approdano sulle coste italiane dalla Libia sono persone a rischio molto elevato di grave sofferenza mentale per la pesantezza di traumi, eventi stressanti, violenze sessuali e non, maltrattamenti, umiliazioni, deprivazioni. Così come è evidente che la gran parte di loro declini e interpreti il proprio star male secondo i codici delle culture di appartenenza, diversi da quelli in uso da noi, comprese le culture scientifiche cui si ispirano i professionisti dei nostri servizi pubblici di salute mentale”. Al tempo stesso, accusa, senza timore, il quotidiano di “fomentare paura, diffidenza, odio razzista”, non affrontando il vero nodo della questione: “l’ignoranza delle culture psichiatriche italiane di fronte all’incontro con pazienti che arrivano da paesi non-europei”. E conclude con una frase presa in prestito dall’etnopsichiatra italiano Roberto Beneduce, quando a proposito della situazione italiana afferma che “la situazione migratoria rimanda decisamente ai nodi irrisolti della situazione coloniale”.
La verità è che la vera follia è l’ignoranza.