Il neo eletto presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia lo aveva già detto in campagna elettorale: su welfare, aiuti e case popolari puntiamo a una revisione normativa che preveda di dare priorità ai cittadini del Friuli Venezia Giulia e ai cittadini italiani, utilizzando strumenti di cui si sono servite anche altre regioni. Da presidente eletto il leghista ha ribadito il concetto nelle dichiarazioni programmatiche all’assemblea elettiva regionale.
Fedriga non è il primo ad avanzare ipotesi di questo tipo. Gli amministratori locali della Lega non sono nuovi a tentativi di inserire norme discriminatorie per quel che riguarda l’erogazione di servizi gestiti da Regioni e Comuni – asili, case popolari, assistenza. Nelle leggi approvate non c’è naturalmente scritto “gli stranieri verranno penalizzati” o “prima gli italiani” ma si trovano escamotage per fare in modo che l’effetto della normativa, qualora applicata, sia questo.
Nei giorni scorsi la Corte Costituzionale ha rispedito al mittente due leggi regionali, una della Liguria riguardante l’assegnazione delle case popolari, l’altra del Veneto relativa agli asili nido (Sentenza 107/2018). L’esempio Veneto, per certi aspetti è più significativo perché riguarda i bambini molto piccoli. La legge n. 6/2017 prevedeva una priorità di assegnazione del posto nell’asilo nido ai figli di genitori residenti nella Regione da almeno 15 anni o che in questa abbiano lavorato anche non continuativamente per lo stesso periodo. La sentenza si può riassumere in una frase: “La norma (…) persegue un fine opposto a quello della tutela dell’infanzia, perché crea le condizioni per privare del tutto una categoria di bambini del servizio educativo dell’asilo nido”.
Ma guardiamo ai dettagli di un testo che è incostituzionale per una serie lunga di ragioni diverse tra loro.
Si tratta di una legge discriminatoria nei confronti degli stranieri e anche degli italiani non nati in Veneto. Una legge quindi che ha un doppio intento: quello di tenere fuori dai servizi chi è appena arrivato in Italia, ma anche di escludere dai servizi chi è emigrato da un’altra regione. Difficilmente una giovane coppia con figli sotto i tre anni può aver cambiato casa prima di raggiungere l’adolescenza (se si è trasferita a 15 anni, dopo 15 ne avrà 30, se si è trasferita a 25 ne avrà 40…ora è vero che in Italia i figli si fanno da vecchi, però…). La legge bocciata dalla Consulta non specificava se il periodo di residenza fosse riferito a uno o a entrambi i genitori, il che rendeva ancora più difficile non essendo nati e cresciuti in Veneto, avere i requisiti necessari per ottenere più punti in graduatoria.
Un tema cruciale per la dichiarazione di incostituzionalità della legge riguarda la funzione degli asili nido nell’ordinamento della Repubblica. “Gli asili nido hanno una funzione educativa, a vantaggio dei bambini, e una funzione socio-assistenziale, a vantaggio dei genitori che non hanno i mezzi economici per pagare l’asilo nido privato o una baby-sitter; dalla disciplina legislativa emerge soprattutto l’intento di favorire l’accesso delle donne al lavoro” si legge nella sentenza. Scegliere come criterio di precedenza nell’accesso a questo servizio pubblico la residenza o l’occupazione protratta, a prescindere dalla condizione socio-economica nella quale si trovano i genitori “si pone in frontale contrasto con la vocazione sociale di tali asili”. Il servizio, infatti, “risponde direttamente alla finalità di uguaglianza sostanziale fissata dall’art. 3, secondo comma, Cost., in quanto consente ai genitori (in particolare alle madri) privi di adeguati mezzi economici di svolgere un’attività lavorativa; il servizio, pertanto, elimina un ostacolo che limita l’uguaglianza sostanziale e la libertà dei genitori e impedisce il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione dei genitori stessi alla vita economica e sociale del Paese”.
Un criterio di accesso possibile potrebbe essere dunque il disagio economico e sociale delle famiglie, ma “La norma impugnata, invece, prescinde totalmente dal fattore economico e, favorendo le persone radicate in Veneto da lungo tempo, adotta un criterio che contraddice anche lo scopo dei servizi sociali di garantire pari opportunità e di evitare discriminazioni (art. 1, comma 1, della legge n. 328 del 2000)”.
La Consulta fa anche riferimento al finanziamento del servizio. La Regione, nella sua memoria difensiva spiegava che il criterio della residenza si riferiva al fatto che chi ha vissuto e lavorato per 15 anni in Veneto ha pagato più contributi e, quindi, finanziato il servizio in misura maggiore. Un argomento scivoloso che configura un welfare regionale escludente, vecchio pallino leghista (come ci ricordano i referendum tenuti nelle regioni Veneto e Lombardia). La Corte contesta questo argomento: i giudici spiegano che a) non tutti i finanziamenti per gli asili provengono dalla fiscalità regionale (ci sono i fondi statali per l’edilizia e il finanziamento regionale proveniente dalla fiscalità generale); b) la residenza per 15 anni in un luogo non implica il pagamento dei contributi (specie se si è una giovane coppia, aggiungiamo).
La terza ragione per cui la legge regionale è anticostituzionale riguarda la libera circolazione dei cittadini. Non si tratta di una violazione palese ma di un limite alla circolazione: “È evidente, infatti, che un genitore che deve trasferirsi in Veneto per ragioni di lavoro può trovarsi in difficoltà a compiere il trasferimento se non ha i mezzi sufficienti per pagare un asilo nido privato, visto che la norma impugnata lo esclude di fatto dagli asili nido pubblici. La norma discrimina, in questo senso, sia i cittadini europei che quelli italiani provenienti da altre regioni.
Fin qui le parole dei giudici.
Varrà a questo punto la pena di notare che le leggi discriminatorie in materia di servizi pubblici vengono dichiarate illegittime nella maggioranza dei casi. Il fatto che i rappresentanti della Lega continuino ad approvarne dove governano, ci indica come queste leggi siano soprattutto strumenti della propaganda del partito guidato da Matteo Salvini per dare corpo allo slogan “prima gli italiani” (i veneti, i lombardi, i liguri, i friulani). Uno slogan che, ogni volta che viene tradotto in legge, viene dichiarato in contrasto con i principi su cui si fonda la Repubblica.