La notte del 18 settembre 2014, in via Lodovico Pavoni, a Torpignattara, quartiere popolare romano, Daniel, un diciassettenne italiano, picchia con estrema violenza il 28enne cittadino pakistano, Muhammad Shahzad Khan.
Qualche giorno fa, a meno di un anno di distanza dall’omicidio, la sentenza del Tribunale dei Minori di Roma, ha condannato Daniel, in primo grado, a otto anni di reclusione per omicidio volontario. Lo ha ucciso a pugni perché “canticchiava”, “disturbava”. Soddisfazione per la sentenza è stata espressa dall’avvocato Mario Angelelli, presidente di Progetto Diritti, difensore della famiglia di Shazad.
Il padre del ragazzo è, invece, ancora sotto processo davanti alla Corte di Assise per concorso in omicidio volontario: secondo alcune testimonianze avrebbe spinto il figlio a colpire e uccidere Shahzad («Gonfialo, ammazzalo»). La prossima udienza è fissata per il 17 luglio.
E’ utile ricordare ciò che successe un anno fa. Shahzad, raccontano i testimoni, stava ripetendo ad alta voce alcune Sure del Corano, probabilmente per un lutto in famiglia: era un ragazzo molto religioso, o almeno così lo descrivono i vicini. Quella maledetta sera, è passato due volte sotto casa di Daniel. La terza, è quella che ha fatto scattare la violenza: Daniel lo bloccò con la bicicletta, lo insultò, gli tirò un pugno, gli si avventò addosso e poi, incitato dal padre, iniziò a colpirlo con calci e pugni, anche quando Shahzad era già a terra, ormai, privo di conoscenza. In molti videro, ma nessuno intervenne. Daniel avrebbe poi raccontato agli inquirenti che Shahzad lo avrebbe insultato, gli avrebbe sputato, e che era ubriaco. Ma nessuno ha corroborato la sua versione (ne avevamo parlato qui e qui).
La vicenda scosse l’opinione pubblica, tanto più che al brutale assassinio hanno fatto seguito alcune manifestazioni della gente del quartiere di solidarietà nei confronti dell’omicida, supportate da quel tocco di demagogia populista e xenofoba appartenente ai gruppi di estrema destra, che non perdono mai l’occasione di presenziare a questo tipo di eventi. Il “resto” del quartiere manifestò, al contrario, la sua vicinanza alla famiglia di Shahzad e prese le distanze da un atto così vile e di violenza inaudita.