Nei giorni scorsi, il giudice monocratico del Tribunale di Avezzano ha condannato una 25enne italiana a 10 mesi di reclusione (era stato chiesto 1 anno dal pm) con l’accusa di “lesioni e ingiurie aggravate dall’odio razziale” per aver picchiato e insultato una sua ex compagna di classe di origine pakistana. I fatti risalgono agli anni della scuola e l’episodio contestato risale al 2012, anche se le minacce e le aggressioni razziste sarebbero cominciate sin dal 2006, quando la ragazza nata in Pakistan, ma cresciuta in Italia, aveva soltanto 16 anni. Il 17 maggio 2012 la ragazza era stata insultata a scuola, sempre con frasi razziste, ed esasperata, si era così rivolta alla preside. Dopo gli accertamenti, c’era stato un avviso orale che metteva in guardia la studentessa accusata. Il giorno dopo, tuttavia, come se niente fosse, la ragazza aveva continuato con i suoi comportamenti razzisti ed offensivi. La preside aveva preso, allora, la decisione di sospenderla.
Poi la situazione sarebbe degenerata ulteriormente, quando qualche giorno dopo, nei pressi del bar della stazione ferroviaria, la giovane, al culmine di una discussione, avrebbe colpito la ragazza pakistana con calci e pugni e l’avrebbe offesa nuovamente. L’imputata, oggi 25enne, avrebbe pronunciato pesanti frasi xenofobe nei confronti della sua compagna di classe: “Perché non ti hanno lapidata in Pakistan? Pakistana di m… puzzi di cipolla. Adesso che fai che non c’è la preside, straniera di m…?”.
Una pattuglia dei vigili urbani, passata nelle vicinanze, si era fermata e aveva chiamato l’ambulanza. La ragazza aggredita, portata al pronto soccorso, per lo choc e la paura ha poi deciso di lasciare i corsi scolastici mattutini per seguire quelli serali.
Il caso era finito davanti al giudice di pace, ma vista la contestazione “dell’odio razziale”, nel 2014 gli atti erano stati trasmessi alla Procura e sottoposti all’attenzione anche del Parlamento italiano, secondo quanto riportato dal sito FanPage.
Questo è soltanto uno dei tantissimi casi che ci narra quanto sia lungo, difficile e tortuoso il riconoscimento e la conseguente giusta sanzione di un atto razzista. E ci dice quanto possa essere frustrante per una vittima di razzismo intraprendere un qualunque percorso in giustizia se i tempi risultano così lunghi. E ci conferma ancora una volta che, in questo modo, risulta davvero difficile arrivare ad una stima realistica del fenomeno, se impieghiamo 7 anni o più per venire a conoscenza di un caso di razzismo.
E’ comunque un caso esemplare, vista la condanna inflitta. Molti casi simili sono infatti “riportati” e “classificati” come atti di bullismo e, in assenza di una denuncia, il razzismo strisciante, e pur evidente, tende a rimanere invisibile e non viene punito.