Oggi, 3 ottobre, si dovrebbe celebrare la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, istituita dalla Legge 45/2016. Una giornata che avrebbe lo scopo di ricordare e commemorare tutte le vittime dell’immigrazione e promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà. Una data simbolica, che ricorda il giorno in cui, nel 2013, 368 persone tra bambini, donne e uomini persero la vita in un naufragio a largo di Lampedusa.
Ma il 3 ottobre è il “giorno della memoria” non solo per Lampedusa, tragico teatro, cinque anni fa oramai, di una delle più gravi catastrofi del Mediterraneo. Pochi giorni dopo, e poi nei mesi e negli anni successivi, si sono purtroppo susseguiti altri drammi disumani con enormi perdite di vite in quello stesso mare. E a poco sono valsi gli appelli accorati all’Unione Europea.
Usiamo il condizionale. Perché oggi, forse, non sarà una giornata di solidarietà, anche e soprattutto alla luce degli ultimi accadimenti di cronaca che hanno visto un “simbolo” dell’accoglienza e della solidarietà stessa, quale Mimmo Lucano, sindaco di Riace, messo ai domiciliari con l’accusa di favoreggiamento dell’”immigrazione clandestina” (noi ne abbiamo parlato qui). E in tutta Italia ci sono stati e ci saranno presidi per rivendicare il diritto all’accoglienza e alla solidarietà, diventata molto rapidamente un “reato”.
Oggi, forse, non sarà una giornata di solidarietà e di accoglienza perché quest’anno, senza alcuna presa di posizione ufficiale, il Miur non ha offerto il proprio sostegno economico all’iniziativa del Comitato 3 ottobre, come invece era successo nei due anni precedenti. Dopo mesi di lavoro, le scuole che avevano aderito all’iniziativa hanno atteso invano che il ministero della Pubblica istruzione si pronunciasse sugli elaborati e assegnasse il premio. Il Miur non ha mai dato alcun seguito. Il Comitato 3 ottobre ha dovuto chiedere il sostegno delle altre sigle aderenti alle iniziative, dall’Unhcr ad alcune Ong e fondazioni, che solo in parte sono riuscite a supplire alla mancanza di finanziamenti, consentendo soltanto ad un centinaio di ragazzi di arrivare a Lampedusa per le commemorazioni.
Non a caso in questi giorni, la Fondazione ISMU e l’ISPI hanno reso noti alcuni dati importanti proprio legati al numero delle persone morte e dei disperse in mare. Numeri che fanno paura e che non fanno ben sparare. Un monito più che una memoria. Da gennaio 2014 al 20 settembre scorso sono stati oltre 17 mila i migranti che hanno perso la vita o che risultano dispersi nelle acque del Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa, ricorda la Fondazione ISMU, in un comunicato. Nello specifico, 3.538 sono stati i morti e dispersi nel 2014, 3.771 nel 2015, 5.096 nel 2016, 3.139 nel 2017 e 1.642 quest’anno, al 20 settembre 2018. “Nonostante nel corso dell’ultimo biennio ci sia stato un considerevole calo degli sbarchi di migranti sulle coste europee rispetto agli anni passati, dovuto soprattutto agli accordi con la Turchia prima e con la Libia successivamente, il tasso di mortalità è aumentato – spiega Ismu -. Infatti, le traversate sono sempre più pericolose e le operazioni di ricerca e soccorso in mare ad opera delle navi delle Ong hanno subito diverse restrizioni di tipo legale e logistico”. L’ISMU ricorda che secondo le stime dell’Unhcr più di 1.600 migranti hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo nei primi nove mesi del 2018, 21 persone ogni mille sbarcati. In particolare, nei primi tre mesi del 2018, il tasso di mortalità tra coloro che partono dalla Libia diretti in Italia è salito a un morto ogni 14 persone, rispetto a un decesso ogni 29 persone nello stesso periodo del 2017.
In linea con l’ISMU, è anche lo studio pubblicato dall’ISPI. A quattro mesi dall’insediamento del nuovo Governo, la linea dura del ministro dell’Interno ha generato una “riduzione relativamente modesta” degli sbarchi in Italia (la diminuzione degli arrivi era già iniziata prima “grazie” all’operato del Governo precedente ndr), che è coincisa “con un forte aumento del numero di morti e dispersi”.
Il rapporto dell’Ispi esprime dubbi sull’utilità delle “politiche di deterrenza” nei confronti del soccorso in mare. Il rapporto confronta tre periodi: 16 luglio 2016-15 luglio 2017; 16 luglio 2017- maggio 2018; giugno-settembre 2018. Nel primo periodo, quello dei 12 mesi precedenti al calo degli sbarchi, in Italia sono arrivate irregolarmente dal mare 532 persone al giorno. Nel periodo (che coincide con l’attuazione delle politiche dell’ex ministro Minniti), il numero è sceso del 78%, di circa 117 persone al giorno. Il periodo che corrisponde alle politiche dell’attuale Ministro dell’Interno ha fatto registrare un’ulteriore riduzione degli sbarchi (circa 61 al giorno). Le stime dell’Ispi cambiano segno quando guardano al numero delle persone morte in mare. Nel periodo precedente al calo degli sbarchi si stima che siano annegate poco meno di 12 persone al giorno. L’anno che coincide con le “politiche Minniti” è stato accompagnato da una netta diminuzione del numero assoluto dei morti, sceso a circa 3 persone al giorno. Ai quattro mesi di politiche dell’attuale Ministro dell’Interno, corrisponde invece un nuovo aumento del numero di migranti morti e dispersi (8 persone al giorno). E lo scorso settembre, il 19% di chi ha tentato la traversata dalla Libia è risultato morto o disperso: una percentuale mai registrata lungo la rotta del Mediterraneo centrale da quando si dispone di statistiche sufficientemente accurate.
I dati non fanno giustizia dei volti e dei corpi di ciascuno di quei migranti che hanno perso la vita nella traversata, ma evidenziano che di questo passo e con l’attuazione delle politiche migratorie di chiusura e di respingimento da parte dell’attuale Governo, le prospettive di vedere diminuite le “vittime dell’immigrazione” sono davvero flebili.
Ed è altrettanto chiaro che il senso e il memento di quel 3 ottobre sembra naufragato anch’esso nel Mediterraneo.