Dal 1995 il 21 marzo oltre all’inizio della primavera ricorda anche l’orrenda strage che nel lontano ma (purtroppo così vicino) 1960 fu compiuta a Sharpeville, contro i manifestanti neri del Pan Africanist Congress, mentre protestavano contro un decreto segregazionista del governo Sud-Africano. Furono 69 le persone uccise tra le quali 8 donne e 10 bambini.
Il Sud-Africa ha rappresentato fino agli anni ’90 il simbolo di quel razzismo dal quale l’Europa ha preso le distanze, considerandolo un fenomeno divenuto estraneo e non più ripetibile, dopo gli orrori commessi durante il nazi-fascismo.
Ma Tolosa ieri, Firenze e Torino il 9 e il 13 dicembre scorsi e le moltissime aggressioni razziste che le hanno precedute in Italia e in altri paesi europei, ci ricordano che si è trattato di una colpevole rimozione, presente nel nostro paese molto più che altrove.
Come tutte le ricorrenze, anche il 21 marzo rischia di lasciare molto spazio alla retorica. Evitiamo. Il fatto che quest’anno più che in passato le iniziative organizzate in Italia siano molte, visibili e, forse, meno routinarie rispetto al passato, è al tempo stesso incoraggiante e preoccupante. Segnala la (ancora timida) scalfittura di una rimozione che sino a qualche tempo fa ha imposto il silenzio sulla pericolosa diffusione del razzismo nel nostro paese. Ma l’ostinazione trasversale (alla politica, al mondo della cultura e dell’informazione, alla società) che ha imposto a lungo questa rimozione, suggerisce che a intaccarla sia, purtroppo, proprio la gravità delle violenze razziste che si sono ripetute negli ultimi tempi. E questo certo non è un buon segno.
Ci sono poi molti modi di leggere, denunciare e contrastare il razzismo. La giornata del 21 marzo è stata definita dall’Onu, che l’ha introdotta, come giornata internazionale contro le discriminazioni “razziali”: possono compiere discriminazioni anche le istituzioni.
Se la costituzione di un nuovo governo e di una nuova maggioranza hanno contribuito ad alleggerire il dibattito pubblico dalle forme più esplicitamente stigmatizzanti nei confronti dei migranti, dei rifugiati e dei rom, restano ancora molte le pesanti eredità discriminatorie lasciate dalla legge Bossi-Fini e dal “pacchetto sicurezza” adottato nel biennio 2008-2009. E, come tentiamo di documentare con il nostro lavoro quotidiano, non sono affatto estranee alle aggressioni e alle violenze razziste più o meno gravi che hanno scandito le cronache anche nel 2011.
E’ benvenuto e importante il cambiamento di “registro linguistico”. E’ indispensabile però che il cambiamento (se di tale si tratta) attraversi le politiche.
Per ora così non è stato. Il mantenimento dell’entrata in vigore del cosiddetto accordo di integrazione e delle gabelle sul soggiorno sono solo alcuni esempi.
Poco più di un anno fa gli arrivi dei migranti dalla Tunisia e poi dalla Libia hanno aperto una delle pagine più tristi delle politiche del rifiuto che attraversano la storia del nostro paese. La stagione degli arrivi si è appena riaperta e sono già morte altre cinque persone nel tentativo di raggiungere le nostre coste. Quale sistema di accoglienza si immagina il governo attuale? Come si comporterà dopo la sentenza della commissione europea per i diritti umani che ha condannato i respingimenti collettivi?
Le dichiarazioni di rappresentanti istituzionali, anche molto autorevoli, favorevoli a una revisione della legge sulla cittadinanza sono state nel 2011 moltissime e sostenute da un ampio consenso della popolazione. Intende la “nuova” maggioranza in Parlamento tradurle in legge?
Oggi 21 marzo, se vogliamo contrastare davvero la diffusione della xenofobia e del razzismo, dobbiamo fare anche queste domande e chiedere delle risposte.