di Grazia Naletto
Il 13 maggio 2015 la Commissione Europea ha adottato l’Agenda europea sulla migrazione. L’Agenda è stata articolata sulla base del piano di 10 punti discusso nel vertice europeo tra i capi di Stato e di governo tenutosi il 23 aprile 2015.
La Commissione ha pubblicato nel marzo scorso un report in cui propone un primo bilancio molto ottimistico e auto-celebrativo dei risultati raggiunti (disponibile qui).
L’Agenda, lo ricordiamo, è articolata in 4 pilastri che definiscono le priorità dell’Unione Europea sulle migrazioni e sull’asilo: 1. prevenzione della migrazione irregolare; 2. gestione delle frontiere esterne; 3. inaugurazione di una forte politica di asilo comune; 4. promozione di una politica di migrazione legale (il testo è disponibile qui).
Il testo fu adottato a seguito di un lungo percorso di negoziazione tra i vari paesi membri, intrapreso soprattutto a partire dalla naufragio del 3 ottobre 2013 che nei pressi di Lampedusa provocò la morte di ben 368 migranti. Nel maggio 2015, quando fu presentato, era già pienamente in corso la crisi umanitaria sulla rotta balcanica che raggiunse la sua fase più alta nell’autunno di quell’anno.
La sequenza delle priorità individuate nell’agenda e soprattutto gli obiettivi specifici indicati nel documento indussero subito molte organizzazioni della società civile a definire il testo deludente e sbilanciato sulle attività di controllo delle frontiere esterne e sul contrasto delle migrazioni “irregolari”. Si vedano ad esempio le nota pubblicate allora da Asgi e da Arci.
Meno arrivi: a quale prezzo?
La Commissione definisce un successo il fatto che il numero di persone giunte in modo “irregolare” sul territorio europeo sulle tre rotte migratorie principali sia diminuito rispetto al 2015: nel 2018 sono stati identificati circa 150mila ingressi “irregolari” alle frontiere esterne dell’UE, un quarto rispetto all’anno precedente, il 90% in meno rispetto al 2015.
Irregular border crossings on the three main routes
Fonte: Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council and the Council
Progress report on the Implementation of the European Agenda on Migration, 6.3.2019
Ma le persone che non arrivano più, non per questo cessano di esistere come mostrano, ad esempio, le migliaia di persone detenute nei centri detenzione libici in condizioni disumane.
La Commissione sottolinea la diminuzione di arrivi in Italia (nel 2018 80% in meno rispetto al 2017), ma niente dice sul come questo risultato è stato ottenuto: criminalizzazione della solidarietà, impedimento delle operazioni di ricerca e soccorso in mare, accordi come quelli con la Turchia e la Libia, ovvero con paesi che per motivi diversi non possono essere definiti paesi sicuri. Questo è del resto l’ambito in cui la sintonia europea è stata più forte come precisa la stessa Commissione: “Quando l’UE e gli Stati membri hanno agito all’unisono, l’approfondimento della cooperazione con paesi partner chiave come la Turchia o il Niger ha portato a una sostanziale riduzione degli arrivi irregolari. L’azione comune ha dato i suoi frutti nella lotta contro il traffico di migranti, nella ricerca di vie legali alternative e nella conclusione di sei nuovi accordi di riammissione con i principali paesi d’origine. La cooperazione con l’Africa e l’Unione africana ha raggiunto nuovi livelli.”
Tra le sfide future nell’ambito della “difesa delle frontiere esterne” viene menzionata la priorità di fermare la rotta migratoria Occidentale che si è riaperta nel 2018, 65mila i migranti giunti in Spagna dal Marocco, e la necessità di un maggiore impegno della Grecia nell’applicazione dell’accordo con la Turchia e nell’aumento dei rimpatri sia volontari che forzati. L’ulteriore sviluppo della cooperazione con i paesi terzi, l’intensificazione del lavoro delle forze di polizia nel contrasto delle reti dei trafficanti e un utilizzo più integrato e efficiente del sistema d’informazione Shengen per facilitare i rimpatri, sono le altre priorità suggerite per i prossimi anni a livello europeo, insieme alla definitiva approvazione della riforma della guardia costiera e di frontiera europea che prevede la costituzione di un corpo permanente di 10mila addetti presso le frontiere esterne. Il futuro ancora una volta è riposto nelle politiche del rifiuto. Ben “39.300 persone sono state salvate dai mezzi impiegati nelle operazioni marittime dell’Ue solo nel 2018”. Ma Mare Nostrum, missione solo italiana operativa tra l’ottobre 2013 e l’ottobre 2014, chiusa per motivi di sostenibilità economica e perché considerata, in particolare da Frontex, un “fattore di attrazione”, in un anno aveva soccorso più di 100mila migranti.
L’inferno libico: un “partner” possibile?
Le condizioni disumane dei migranti detenuti in Libia sono appena menzionate nel report e nulla è detto rispetto alla difficoltà di collaborare con un paese che è in piena guerra civile. Così diventa possibile indicare tra le priorità future la necessità di favorire il “ritorno a casa in sicurezza” dei migranti presenti nel paese: 37mila persone sono state già coinvolte in programmi di rimpatrio volontario assistito e 2.500 sono state evacuate in Niger secondo quanto riportato nel report. Così come diventa possibile celebrare le attività della Guardia costiera libica: “Sebbene la Libia abbia ancora rappresentato più della metà delle partenze nel 2018, la Guardia costiera libica continua a intercettare o salvare un gran numero di persone in mare – circa 15.000 nel 2018, con le principali nazionalità sudanesi (14%), nigeriane (12%) ed eritrei (12%)”. Dei salvataggi mancati o di quelli ostacolati nessun cenno. E le migliaia di persone disperse nel Mediterraneo sono ricordate in una riga, con dati che rimuovono letteralmente la strage che solo tra il 2015 e il 2019 ha causato più di 15mila persone disperse o morte in mare secondo Unhcr.
Reinsediamenti e ricollocazioni
I reinsediamenti di persone bisognose di protezione internazionale verso l’unione Europea sono stati 50mila a partire dal 2015, le ricollocazioni dei richiedenti protezione internazionale dall’Italia e dalla Grecia 34.710 rispetto alle 160mila programmate. Non sono forniti ulteriori dettagli. E non è un caso. I dati sulle ricollocazioni rappresentano uno dei fallimenti più evidenti e la più evidente manifestazione dell’assenza di “solidarietà” tra i Paesi membri.
Il sistema europeo di asilo: un risultato ben lontano dall’essere raggiunto
In questo caso la Commissione si guarda bene dall’effettuare un bilancio e si limita agli auspici, raccomandando una riforma globale del sistema di asilo e di effettuare 50mila impegni di reinsediamento entro l’ottobre 2019 per le persone bisognose di protezione più vulnerabili (24mila sarebbero quelli “concretizzati” al marzo 2019). Nessun riferimento esplicito alla mancata adozione da parte del Consiglio della Riforma del Regolamento Dublino III approvata dal Parlamento europeo il 27 novembre 2017, riforma che avrebbe permesso in primo luogo di eliminare uno dei principali ostacoli ad una equa redistribuzione dei richiedenti asilo nei paesi membri: l’obbligo di presentare domanda di protezione nel primo paese europeo di arrivo. Si tratta di una riforma, bloccata, tra gli altri, anche dal Governo italiano.
La “sintonia europea” c’è stata invece il 13 marzo 2016, quando si è trattato di varare l’accordo con la Turchia (6 miliardi stanziati in due tranches, 1,2 miliardi già impegnati della seconda tranche) per fermare la rotta balcanica e in particolare verso le isole greche. I dati citati servono a dimostrare il “successo” dell’iniziativa: alla fine del 2018 l’accordo avrebbe garantito assistenza umanitaria a 1,5 profughi più vulnerabili, il varo di un programma di assistenza sociale e il sostegno all’inclusione scolastica di 410mila studenti.
Migrazioni legali e inclusione sociale: come sempre l’ultima priorità
Anche al quarto pilastro dell’agenda del 2015, il “bilancio” della Commissione dedica poco più di una pagina, colma per lo più di retorica. Le politiche migratorie, con riferimento alle cosiddette migrazioni economiche, continuano del resto ad essere di stretta competenza dei singoli Stati membri. L’unica iniziativa promossa in questo ambito, la revisione della Direttiva sulla Carta blu (titolo di soggiorno introdotto per favorire l’immigrazione di lavoratori altamente qualificati), si trova, per stessa ammissione della Commissione, “in una situazione di stallo”.
Per il resto il documento fa riferimento a “progetti pilota” promossi dai singoli paesi (Belgio, Germania), per lo più finalizzati a consentire l’ingresso di manodopera qualificata nel settore informatico e a programmi di “integrazione” che saranno finanziati con la nuova programmazione finanziaria pluriennale (2021-2027) “per la formazione linguistica, l’orientamento civico e la creazione di centri di consulenza”. Nessun dato è fornito su ciò che è stato fatto nel corso degli ultimi cinque anni, nessun dettaglio in più sul futuro.
Verso il 26 maggio
La legislatura che giunge al termine chiude con un livello di delegittimazione delle istituzioni europee mai raggiunto prima. Le politiche proseguite all’insegna dell’austerità, per contrastare gli effetti economici e sociali della crisi iniziata nel 2008, e la vera e propria crisi politica che la crisi umanitaria del 2015 ha innescato, hanno contribuito a questo processo di delegittimazione.
Siamo alla vigilia di un voto che potrebbe vedere un’ulteriore crescita delle forze nazionaliste, populiste e xenofobe nel Parlamento europeo, forze che hanno avuto buon gioco nel far leva, con la propria propaganda violenta, sulle risposte che l’Europa non è stata capace di dare a una gran parte della società europea, colpita dalla crescita delle diseguaglianze economiche e sociali. E’ augurabile che la partecipazione al voto sia alta e sia a sostegno di quelle forze che in questi anni si sono battute nel Parlamento europeo (essendo in minoranza), per un’Europa aperta, accogliente, democratica e libera da ogni forma di discriminazione.
Perché due cose sono certe.
L’approccio sicuritario adottato sino ad oggi ha fallito: non ha portato maggiore stabilità e coesione sociale, né in Europa, né nei singoli paesi che la compongono. Ma soprattutto. Non c’è muro che tenga di fronte alla necessità di chi, non importa se per motivi economici o perché ha bisogno di protezione, per costruire un percorso di vita, è disposto a lasciare tutto e a partire, pur non sapendo se arriverà mai a destinazione.