Oggi, 20 giugno 2017, si celebra la diciassettesima giornata mondiale del rifugiato. Indetta nel 2001 dalle Nazioni Unite, anno del cinquantesimo anniversario della Convenzione di Ginevra, nella data in cui fino ad allora ricorreva l’African Refugee Day.
Una ricorrenza porta con sé, un cerimoniale prestabilito. Anche quest’anno arrivano da parte delle istituzioni dichiarazioni pubbliche in favore dei rifugiati, che esprimono solidarietà, empatia e buoni propositi – si prenda ad esempio la dichiarazione fatta dal Presidente della Repubblica Mattarella: “Servono scelte strategiche, lungimiranti e ben calibrate, volte a prevenire conflitti, a stabilizzare le regioni più a rischio del pianeta, a combattere le drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici“.
Di pari passo con le commemorazioni, anno dopo anno si riscontra il progressivo aumento del numero di rifugiati e richiedenti asilo, così come il peggioramento delle condizioni in cui versano. Un dato oggettivo che meriterebbe di essere accompagnato più che da parole altisonanti e prive di riscontro pratico, da misure efficaci che contrastino questa tendenza.
I dati disponibili mostrano che di “buone pratiche” in questo senso non ce ne sono però molte, anzi.
Nel corso del 2016 all’interno della nostra società è cresciuto il razzismo in molteplici forme. Molto spesso questo si esprime in gravi violenze – 630 i casi di violenza fisica monitorati nel database Il razzismo quotidiano, in cui documentiamo i casi di razzismo compiuti nel nostro Paese, a partire dal 2007. Tra questi gli episodi di protesta, disseminati sul territorio nazionale, contro l’apertura o la gestione dei centri di accoglienza per richiedenti asilo, e in definitiva contro la presenza stessa di questi ultimi – 210 i casi di questo tipo monitorati da Lunaria solo nel 2016, raccolti nel report ad hoc Accoglienza. La propaganda e le proteste del rifiuto, le scelte istituzionali sbagliate. In questo contesto assumono un particolare significato i dati diffusi dall’Unhcr nel rapporto Global Trends 2016 presentato oggi disponibili qui.
Nel 2016 sono state più di 60 milioni le persone costrette ad abbandonare la propria abitazione, tra queste i rifugiati hanno raggiunto i 22 milioni, il dato più alto mai registrato sino ad oggi. I rifugiati che vivono nell’Unione Europea sono 2 milioni mentre l’incidenza dei rifugiati sul complesso della popolazione è notevolmente superiore in alcuni paesi terzi: il Libano, la Giordania e la Turchia, che ospitano rispettivamente uno ogni sei, uno ogni undici e uno ogni ventotto abitanti.
Questo dato è in parte conseguenza della prossimità geografica di questi Paesi con quelli di origine dei richiedenti protezione, dall’altro è però dovuto all’inasprirsi delle politiche europee in senso sicuritario e xenofobo, concentrate sulla chiusura delle frontiere, il contenimento degli arrivi, la cooperazione con i paesi terzi finalizzata al contrasto delle migrazioni “irregolari” e l’irrigidimento dei sistemi di ingresso nazionali – caso paradigmatico della pericolosità di questo sistema e dei suoi effetti è rappresentato dall’accordo con la Libia. Alle politiche restrittive non segue però una diminuzione dei flussi migratori. I migranti sono costretti a muoversi sempre più nell’ambito dell’”illegalità” e a compiere viaggi estremamente pericolosi, in condizioni disumane a tal punto che le notizie relative alle stragi in mare rischiano di diventare una “routine” che non provoca più la necessaria indignazione dell’opinione pubblica. Solo ieri sono morte almeno 126 persone nel Mediterraneo.
Per protestare contro le politiche dell’’Europa Fortezza’ proprio oggi la campagna United against refugee deaths ha reso pubblico un elenco che documenta le morti dei rifugiati dal 1993 ad oggi: 33.305 persone che sono morte nel tentativo di ricostruire la propria vita in Europa. La stessa campagna ha prodotto anche una mappa interattiva che dà conto di come e dove i rifugiati abbiano perso la vita – anche questo strumento è consultabile online.
Abbiamo sviluppato mezzi di monitoraggio che ci permettono di controllare la drammaticità dello stato delle cose, strumenti che già ad una prima veloce consultazione spaventano, angosciano – come è giusto che sia. Non siamo però in grado, a livello nazionale ed europeo, di realizzare reali politiche che garantiscano alle molte persone in cerca di protezione di vedere rispettato il loro diritto di chiedere asilo.
Oggi, 20 giugno 2017, noi ci sentiamo di tornare a chiedere, insieme a loro, solo questo.