Il dibattito di questi giorni sui Centri di Identificazione ed Espulsione è surreale, così come è paradossale l’annuncio del Ministro dell’Interno Minniti di volerne costruire uno in ogni regione. Periodicamente qualche Ministro dell’Interno “riscopre” i Cie e ne programma il rilancio. Le parole del Ministro Minniti ricordano ad esempio molto da vicino quelle dell’ex Ministro Maroni. Anche lui promise Cie in tutte le regioni. Quando parlò erano 11, negli anni successivi il sistema di detenzione è imploso per vari motivi. Oggi quelli operativi sono quattro: Roma, Brindisi, Torino e Caltanissetta. Rispetto a una capienza teorica di 1.393 posti, ospitavano effettivamente a settembre 272 persone (dati Ministero dell’Interno).
Dalla istituzione dei centri di detenzione (la Legge Turco-Napolitano del 1998 li chiamò inizialmente Centri di Accoglienza Temporanea e Assistenza) sono passati ormai 20 anni.
Come spesso succede, l’informazione e la propaganda politica tendono a rimuovere la memoria scomoda e, pur di dimostrare la validità delle proprie tesi, a mescolare tutto in un gran calderone.
Così gli attentati di Berlino e di Istanbul, la tristissima morte di Sandrine Bakayoko a Cona e la protesta dei migranti che l’ha accompagnata, la “scoperta” della concentrazione in un ex base missilistica di più di 1300 migranti, si confondono in uno zibaldone di notizie e di dichiarazioni che, ad eccezione della società civile e di qualche membro di partito fuori linea, evocano a senso unico azioni più incisive nelle attività di identificazione dei migranti in arrivo, il “rimpatrio immediato” delle persone che non chiedono protezione internazionale e, appunto, il nuovo ampliamento della rete dei centri di identificazione ed espulsione.
Accoglienza e detenzione amministrativa, lotta alla criminalità e al terrorismo e contrasto dell’immigrazione “irregolare”, il tema della qualità dell’accoglienza dei richiedenti asilo e quello dell’efficacia dei programmi di rimpatrio, gli episodi di razzismo collegati alla nascita dei centri di accoglienza e le legittime proteste contro la proliferazione di grandi strutture sono miscelati in fiumi di parole pronunciate o scritte spesso senza sapere (o fingendo di non sapere) veramente di cosa si sta parlando.
1. I Cie non hanno niente a che vedere con i centri di prima accoglienza né con le strutture temporanee gestite dalla Prefetture (altrimenti definitive CAS) né tanto meno con i progetti di seconda accoglienza Sprar. I Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA), poi ribattezzati Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), sono stati istituiti con la finalità di dare effettività ai provvedimenti di allontanamento coattivo che vengono emessi nei confronti dei cittadini stranieri privi del permesso di soggiorno, nei casi in cui essi non risultino immediatamente eseguibili. I motivi che possono ostacolare l’esecuzione immediata dell’espulsione sono essenzialmente due: la mancata identificazione della persona o l’indisponibilità del mezzo di trasporto necessario per effettuare il rimpatrio. L’internamento del cittadino straniero nel CIE comporta la privazione della libertà personale: lo straniero è infatti recluso in strutture assolutamente assimilabili a quelle carcerarie, sorvegliate dalle Forze dell’ordine, dalle quali non può allontanarsi. Inizialmente fissata a un massimo di trenta giorni, la permanenza massima nei centri è stata successivamente prolungata prima a sessanta, poi a centottanta giorni complessivi, poi a diciotto mesi, poi ridotta a novanta con la legge europea 2013bis dell’ottobre 2014, quindi nuovamente prolungata a 12 mesi con riferimento ai soli richiedenti asilo con il Dlgs.142/2015.
La sperimentazione ventennale del sistema di detenzione amministrativa ha evidenziato il fallimento di questo istituto giuridico rispetto alle stesse finalità individuate dal legislatore. Ad esempio, meno della metà (46,2%) delle 175.142 persone detenute nei centri dal 1998 al 2013 sono state effettivamente rimpatriate. Le motivazioni sono note e sono fondamentalmente due: a) la detenzione breve e o lunga che sia non garantisce di per sé la possibilità di identificare una persona se ad esempio il paese di origine non collabora all’identificazione; b) le esecuzioni delle espulsioni costano molto ragion per cui alle migliaia di provvedimenti di espulsione adottati corrispondono poche migliaia di rimpatri ogni anno. La detenzione lungi dal favorirle, se proprio si vuole affrontare l’argomento dei costi, comporta semmai un dispendio di risorse aggiuntivo, inutile e dannoso per le casse dello Stato.
Le numerose violazioni dei diritti umani che in essi sono state documentate nel corso del tempo offrirebbero in realtà da sole una valida argomentazione ai molti che auspicano la chiusura anche dei quattro Cie ancora oggi funzionanti. Nel dicembre 1999, appena un anno dopo l’entrata in vigore della legge n.40/98 che li istituì, nel centro Serraino Vulpitta di Trapani, morirono sei immigrati tunisini rimasti imprigionati in un incendio innescato nel corso di una rivolta. Da allora le proteste, le ribellioni, gli atti di autolesionismo, i tentativi di fuga, le violazioni dei diritti umani sono stati all’ordine del giorno e documentati in modo accurato da parte delle organizzazioni antirazziste, di numerosi Parlamentari, di organizzazioni internazionali e di operatori dell’informazione, sino a dar vita a vere e proprie campagne di denuncia e informazione (chi volesse documentarsi, trova in fondo al testo una rassegna delle fonti disponibili).
Ai Cie si sono in realtà affiancati nel 2015, su insistente pressione della Commissione Europea, gli hot-spot. Oggi sono operativi quelli di Lampedusa (ex Cpsa), Taranto, Pozzallo e Trapani (ex Cie). Gli Hot-spot, come hanno denunciato alcune organizzazioni umanitarie, non hanno un quadro giuridico di riferimento: la loro funzione precipua è quella di identificare i migranti e di selezionare le persone che intendono richiedere protezione internazionale rispetto ai cosiddetti migranti economici. Si tratta di strutture chiuse, difficilmente accessibili alle organizzazioni di tutela dei richiedenti asilo e agli organi di stampa. Al loro interno opera personale Unhcr, Easo e Oim, ma anche di Frontex. Al 19 settembre 2016 gli hot-spot ospitavano 967 persone adulte più 168 minori stranieri non accompagnati (nella struttura di Pozzallo) che lì non dovrebbero assolutamente stare.
2. Dopo la morte di Sandrine Bakayoko la politica e la stampa sembrano avere “riscoperto”improvvisamente che nel nostro paese le politiche di accoglienza sono ancora gestite in assoluta emergenza. Una cosa sono infatti i buoni propositi espressi dal Ministero dell’Interno nei rapporti e nei documenti ufficiali, un’altra ciò che accade nella realtà. E la realtà è purtroppo fatta di un aumento repentino dell’accoglienza in strutture temporanee (o Cas) allestite in emergenza dalle Prefetture, anche a causa della resistenza dei Sindaci ad assumere l’onere e la responsabilità di aderire al sistema di accoglienza ordinario Sprar. I numeri parlano da soli: a fine 2014 i migranti ospitati nei Cas erano 66.066; al 31 dicembre 2016 erano 137.210, più che raddoppiati, il 77% delle persone ospitate in strutture di accoglienza nel nostro paese. Con riferimento specifico alla realtà dell’accoglienza della capitale ne abbiamo parlato diffusamente qui.
3. E tuttavia. Anche ammettendo che le Prefetture “siano costrette” a causa dell’aumento degli arrivi di richiedenti asilo a trovare soluzioni in emergenza, il come si attivano può fare la differenza. Da alcuni mesi il Ministero dell’Interno aveva preannunciato l’intenzione di rintracciare e valorizzare ex caserme per adibirle a centri di prima accoglienza. Da qui la nascita del Cpa di Cona, di Oderzo a Treviso e di Bagnoli a Padova. Strutture che ospitano centinaia, a volte più di un migliaio di persone in condizioni indecenti in cui è letteralmente impossibile, anche volendo, garantire un percorso di assistenza personalizzato e il rispetto degli standard minimi di accoglienza. Che le grandi dimensioni siano uno dei principali ostacoli alla buona accoglienza le associazioni antirazziste non sanno più come ripeterlo. Eppure si insiste. Prova ne è il bando pubblicato di recente dalla Prefettura di Roma alla fine di novembre 2016 per cercare una struttura sul territorio metropolitano da locare per sei anni e da destinare ad un hub capace di ospitare fino a mille persone.
Come dire: errare è umano, perseverare è diabolico.
* Tra le campagne quella più attiva negli ultimi anni è LasciateCIEntrare: nata nel 2011 per rivendicare l’accesso ai CIE da parte degli operatori dell’informazione e delle associazioni, continua oggi il suo lavoro di monitoraggio e denuncia delle condizioni di vita dei migranti detenuti nei CIE.
Tra i rapporti istituzionali segnaliamo:
· Corte dei conti – Programma di controllo 2002, Gestione delle risorse previste in connessione al fenomeno dell’immigrazione. Regolamentazione e sostegno all’immigrazione. Controllo dell’immigrazione clandestina.
· Corte dei Conti, Programma di controllo 2003, Gestione delle risorse previste in connessione al fenomeno dell’immigrazione. Regolamentazione e sostegno all’immigrazione. Controllo dell’immigrazione clandestina.
· Corte dei conti, Programma di controllo 2004, Gestione delle risorse previste in connessione al fenomeno dell’immigrazione.Regolamentazione e sostegno all’immigrazione. Controllo dell’immigrazione clandestina.
· De Mistura, Commissione, Rapporto conclusivo – Commissione per le verifiche e le strategie dei Centri per immigrati, gennaio 2007.
· Thomas Hammarberg, Commissioner for Human Rights of the Council of Europe, Report following his visit to Italy on 13-15 January 2009.
· Nils Muižnieks, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Rapporto a seguito della visita in Italia dal 3 al 6 luglio 2012.
· Senato della Repubblica italiana, Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri d’accoglienza e trattenimento per migranti in Italia, marzo 2012.
Tra i rapporti e i documenti realizzati da parte della società civile ricordiamo:
· Medici Senza Frontiere, Rapporto sui Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza, Missione Italia, 2004.
· Campagna Sbilanciamoci!, Rapporti Sbilanciamoci! 2004-2012.
· Amnesty International Italy, Temporary Stay – permanent rights: the treatment of foreign nationals detained in‘temporary stay and assistance centers’, INDEX: EUR 30/004/2005
· Asgi, Giuristi Democratici, Per una riforma della normativa in materia di immigrazione, 2005.
· Gressi M., Dentico N., (a cura di), Libro bianco. Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza. Un’ indagine promossa dal gruppo di lavoro sui CPTA in Italia, 2006
· Asgi, Proposte per una modifica della legislazione in materia di immigrazione e di stranieri non comunitari, 9 ottobre 2006.
· Medici Senza Frontiere, Al di là del muro. Viaggio nei centri per immigrati in Italia, Missione Italia, 2010
· Amnesty International, Rapporto annuale 2011. La situazione dei diritti umani nel mondo, 2011.
· Human Rights Watch, 2011 World Report.
· Medici per i Diritti Umani, I Cie, la salute e la dignità umana – la storia di Omar, 2012.
· Medici per i Diritti Umani, L’iniquo ingranaggio dei Cie. Analisi dei dati nazionali completi del 2011 sui centri di identificazione ed espulsione, luglio 2012.
· Medici per i Diritti Umani, Le sbarre più alte. Rapporto sul centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria a Roma, 2012.
· Associazione A buon diritto onlus, Larticolo Tre, Rapporto sullo stato dei diritti in Italia, Pre-Rapporto 2012, Lampedusa non è un’isola. Profughi e migranti alle porte dell’Italia, 2012.
· International University College of Turin, Betwixt and Between: Turin’s CIE, A Human Investigation into Turin’s Immigration Detention Centre, 2012.
· Scuola Superiore S’Anna, Drafting a report reviewing italian’s immigration policy, Pisa University Press, 2012.
· Asgi, Programma di riforme in materia di immigrazione, diritto degli stranieri, asilo e cittadinanza per la legislatura 2013-2018, 2013.
· Lunaria, Costi disumani. La spesa pubblica per il “contrasto dell’immigrazione irregolare”.