Il Consiglio dei Ministri di oggi ha approvato un decreto che prolunga il tempo di trattenimento nei CIE a 18 mesi. Lo ha dichiarato secondo l’Ansa il Ministro dell’Interno Maroni. Una decisione totalmente disumana e irrazionale ancora una volta dettata dal disperato tentativo di recuperare il consenso di una parte dell’elettorato leghista. Una scelta propagandistica che avrà conseguenze disastrose sui migranti.
Non smetteremo mai di dirlo. I Centri di permanenza temporanea, ribattezzati Centri di Identificazione e Espulsione, dovrebbero essere chiusi per più motivi.
1) Le persone che vengono rinchiuse nei CIE sono private della libertà personale per il solo fatto di aver ricevuto un decreto di espulsione non immediatamente eseguibile.
2) Le violazioni dei diritti umani fondamentali dei migranti all’interno dei Centri sono continue
3) I CIE non contribuiscono affatto alla “lotta all’immigrazione illegale” facilitando l’identificazione e l’espulsione delle persone in essi detenute: meno della metà delle persone trattenute nei centri vengono effettivamente espulse.
4) Le risorse necessarie per la loro istituzione e gestione sono ingenti (dal 1999 a oggi più di un miliardo di euro) e potrebbero molto più utilmente essere impiegate per istituire un sistema di accoglienza e di inclusione sociale dei migranti dignitoso. I cittadini regolarmente residenti nel nostro paese sono 4,8 milioni. Per loro lo Stato fa pochissimo.
Il prolungamento dei tempi di trattenimento che, secondo le dichiarazioni di oggi, verrebbe triplicato (da 6 mesi a 18 mesi) è una mera operazione propagandistica: se le autorità del paese di origine non effettuano l’identificazione in 30 giorni (la permanenza prevista originariamente dalla legge 40/98), non sarà certo il prolungamento dei tempi a far sì che ciò avvenga.
Occorre assolutamente informare in modo capillare l’opinione pubblica e convincerla del fatto che l’ostentazione del “cattivismo” nasconde l’ incapacità di governare le migrazioni ma anche di fornire quelle risposte economiche e sociali che i cittadini vorrebbero e che non ricevono.