Oltre quattrocento persone avrebbero perso la vita nell’ennesima strage consumatasi nel Mar Mediterraneo. Non c’è ancora una conferma ufficiale, ma ci si aspetta il peggio di fronte alla notizia diffusa dalla Bbc Arabic, secondo cui quattro imbarcazioni sarebbero naufragate al largo dell’Egitto. Secondo le prime informazioni, la maggior parte delle persone presenti imbarcate proveniva dal Corno d’Africa, e precisamente da Somalia, Etiopia ed Eritrea. Solo ventinove persone si sarebbero salvate.
Esattamente un anno fa, il 18 aprile 2015, ottocento persone morivano nel Canale di Sicilia. Nello stesso tratto in cui ieri sera, a circa venti miglia dalle coste libiche, la nave Aquarius – non un’imbarcazione governativa, ma un mezzo della missione promossa dalla ong SOS Méditerranée in partenariato con Médecins du Monde– ha recuperato un gommone, partito la mattina da Zabratah, in Libia. Centootto (108) i sopravvissuti, provenienti da Gambia, Guinea Bissau, Guinea Conakry, Costa d’Avorio, Togo, Nigeria, Senegal, Mali, Sudan, Etiopia, Eritrea. I membri dell’equipaggio hanno trovato il gommone quasi completamente sgonfio, già pieno d’acqua e con il motore in avaria, dopo nove ore di navigazione. Concluse le operazioni di soccorso, in fondo al gommone sono stati ritrovati sei corpi inermi. “Il mare li ha subito risucchiati” ci spiega Mauro Seminara di Sos Mediteranneè Italia, che aggiunge: “Altre due persone hanno perso la vita, annegate dopo essersi gettate in mare durante le operazioni di soccorso”.
E’ con rabbia e con dolore che scriviamo e diffondiamo la notizia di quanto successo. E siamo costretti a ricordare ancora una volta che in questi anni niente è stato fatto a livello istituzionale per impedire che altre vite andassero perse. Troppe persone sembrano condannate, da politiche restrittive ed escludenti, a morire nel tentativo di cambiare paese. Un’assurdità dei nostri tempi che sta trasformando il Mar Mediterraneo in un cimitero, l’Europa in un insieme di muri, le frontiere in zone franche dove di fatto i diritti non esistono più.
Solitamente, di fronte ai grandi drammi della storia, si suole usare l’espressione “mai più”. E’ stata usata il 3 ottobre del 2013, dopo la strage al largo di Lampedusa che costò la vita a più di trecento persone. E’ stata ripetuta nel dicembre 2014, quando l’Unhcr denunciava la morte nel mar Mediterraneo di almeno 3.419 persone, nel corso dell’anno. E’ stata ribadita il 18 aprile 2015, dopo la morte in mare di 800 persone, i cui corpi non sono ancora stati recuperati. L’abbiamo urlata con rabbia il 21 aprile 2015 a piazza Montecitorio insieme a molte associazioni e a più di 1500 persone. E poi con molti altri il 21 giugno ai Fori Imperiali. E poi nel settembre 2015 dopo la morte di Aylan e di tutte le persone morte come lui nell’Egeo.
Oggi non viene nemmeno più evocata: le istituzioni europee e i governi nazionali sono, colpevolmente, molto più impegnati a costruire muri e campi profughi dove trattenere i migranti in attesa della loro espulsione. Che almeno si rinunci alla retorica: nessuno si azzardi a dire “mai più”.