Il 21 marzo, 39 cittadini tunisini, arrivati sul territorio francese dopo la “Primavera Araba”, non riuscendo ad ottenere un permesso di soggiorno in Francia, hanno deciso di provare a tornare in Italia, convinti del fatto che fosse in arrivo una sanatoria generale. Ma al confine con la Svizzera, sono stati bloccati dalla polizia di frontiera di Domodossola. In base agli accordi di Schengen, i 39 migranti sono stati fatti salire immediatamente su un convoglio in direzione opposta e accompagnati di nuovo in Francia, nella cittadina di confine di Pontarlier. Successivamente, le guardie di confine francesi li hanno tenuti rinchiusi per ben 10 ore in un garage, dopo aver “attribuito” loro un numero scritto con un pennarello nero sul braccio, per non confonderli (una specie di numero progressivo, corrispondente al numero di pratica). Trascorsa una giornata nel garage, i 39 migranti sono stati anche muniti di un ulteriore braccialetto identificativo, fatti salire su un aereo per Marsiglia e da lì condotti al centro di detenzione amministrativa di Nîmes. Grazie al tempestivo intervento di alcuni avvocati, il giudice delle libertà ha immediatamente condannato queste pratiche della polizia di frontiera, e nella sua ordinanza ha riconosciuto che identificare delle persone con un numero scritto sulla pelle comporta “elementi vessatori e umilianti” che costituiscono un “trattamento degradante” in base all’articolo 3 della Corte europea dei diritti dell’uomo”. Dopo l’ordinanza e le necessarie verifiche, quasi tutti i migranti sono stati liberati.